Rifiuti e cementifici. Ribaltiamo la questione aprendo un dibattito intorno a una proposta che tiene conto della situazione specifica della nostra regione e delle caratteristiche infrastrutturali della nostra città. Possiamo liberare il Parco da impianti con esso incompatibili e nel contempo rilanciare lo sviluppo e l’occupazione con l’economia verde anche a Monselice. L’OCSE parla di 5 milioni di posti di lavoro creati dalla green economy entro il 2020. Perché non favorire la nascita di un vero e proprio distretto industriale del riciclaggio formato da aziende ad alto contenuto di innovazione tecnologica proprio nella nostra città?
Un patto per Monselice: lavoro, ambiente, salute, turismo. Parole pesanti che rappresentano dei capisaldi irrinunciabili per la nostra città. Tuttavia, stampate sopra un manifesto (visto sulla rotonda di accesso all’autostrada e sulla pagina facebook del sindaco), suonano come slogan vuoti di significato. Poiché ne condivido l’importanza, però, vorrei sforzarmi di fare una proposta che possa riempirle di senso.
Spesso intorno alla questione revamping Italcementi e, più recentemente, rispetto alla richiesta di Zillo per utilizzare rifiuti come materia prima nella Cementeria di Monselice, molti hanno accusato gli oppositori di questi progetti di non avere alcuna proposta alternativa per lo sviluppo e la crescita economica del nostro territorio. In prima fila il sindaco, le aziende interessate, perfino i sindacati che hanno abbracciato in toto le loro richieste, senza minimamente provare ad affrontare la questione in modo più aperto.
La mia proposta nasce dentro un ragionamento che deve essere attualizzato e prospettivo al contempo: che situazione esiste oggi e quale ci immaginiamo nel futuro medio-breve.
Il Veneto è la regione italiana che negli ultimi vent’anni - forse seconda alla sola Lombardia - ha conosciuto un tasso di cementificazione fra i più alti e che, di fatto, oggi mette in crisi chi produce questa materia prima, proprio per una domanda che via via si è ridotta, anche a fronte di una concorrenza internazionale spietata e ovvia su un prodotto a così basso contenuto tecnologico come il cemento. Nello stesso periodo, però, la nostra Regione si è distinta per un’altra eccellenza: la raccolta differenziata a cui ormai siamo tutti educati e che verrà sempre più implementata, riducendo costantemente la quantità pro capite di rifiuto secco indifferenziato e producendo quantità potenzialmente sempre più elevate di preziosa materia prima da riciclare e trasformare. Consideriamo che nel 2009 il Veneto era secondo solo a Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna per quantitativo annuo di rifiuto urbano differenziato raccolto (dati.istat.it).
Partendo da questa fotografia della situazione credo sia fondamentale azzardare una proposta di ampio respiro che – nei prossimi dieci anni – possa contemporaneamente liberare il Parco dei Colli da un’incompatibile presenza dei cementifici ma anche creare sviluppo economico e conseguente occupazione in un territorio che, certamente, non potrà vivere solo di agricoltura biologica e ospitalità.
Considerando la virtù con cui i cittadini veneti faticosamente si adoperano per differenziare il rifiuto che producono, trovo assurdo che si debbano assecondare richieste (come quelle dei cementifici) che sono assolutamente finalizzate alla costruzione di potenziali inceneritori in grado di soddisfare domande di smaltimento indifferenziato che, certamente, non provengono dal nostro territorio (l’inceneritore di Padova è sufficiente per l’intera provincia) e che non tengono conto delle specificità territoriali o delle concentrazioni degli impianti esistenti come nel caso nostro.
Dovremo invece favorire, con accordi di programma specifici e incentivi che vanno studiati ad hoc, la creazione di un vero e proprio distretto industriale del riciclaggio, dove venga incentivata la nascita di aziende ad alto contenuto di innovazione tecnologica capaci di mettere a reddito queste buone pratiche a cui i nostri cittadini sono ormai abituati creando buona occupazione. Cosi può attingere ai famosi 5 milioni di posti di lavoro a cui può puntare l’Europa che investe sulla green economy entro il 2020 (rapporto realizzato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico a maggio 2012). Monselice - a mio avviso – ha le carte in regola per aggiudicarsene una quantità molto più rilevante di quelli messi in discussione dalla paventata chiusura dei cementifici e del loro indotto.
Abbiamo una rete infrastrutturale che mette Monselice al centro del Nord Est: autostrada e alta velocità. Abbiamo una zona industriale per larga parte inutilizzata dove si può investire per la costruzione di un vero e proprio distretto. Abbiamo un cementificio che occupa un’area strategica vicina alla stazione dei treni che potrebbe diventare una stazione di scambio intermodale rotaia-gomma per la ricezione di merci da tutto il territorio nazionale. Abbiamo una grande multinazionale come Italcementi che potrebbe essere interessata ad un ragionamento serio nel merito di una proposta di questo tipo: di certo un business a cui non posso pensare sia completamente sorda.
Di certo, se la querelle fra salute e lavoro si riduce ad un mero schierarsi sul fronte dei favorevoli o dei contrari ai progetti di riconversione degli impianti attuali, senza portare nessun piano di sviluppo del territorio con un reale progetto di cambio di destinazione d'uso delle aree dove oggi sono ubicati i cementifici e senza uno studio di fattibilità concreto che coinvolga le associazioni industriali, i sindacati, gli enti locali in un percorso di costruzione concreta delle alternative, ci troveremo fra dieci anni senz’altro in una città con lavoro, ambiente, salute e turismo ancor più minacciati di quanto non lo siano oggi.
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