8 luglio 2013

EGITTO, RIVOLUZIONE O COLPO DI STATO?

Prima di parlare di Egitto, di Rivoluzioni, di colpi di Stato, di nuove elezioni non si può prescindere dal fare una panoramica di quanto l'esercito sia influente e determinate nelle logiche interne del grande paese arabo. L'esercito egiziano controlla infatti quasi il 30% dell'intera economia. Le imprese di proprietà dei militari realizzano la maggior parte dei beni di consumo: dai computer ai televisori, dai frigoriferi alle lavastoviglie. Monopolizzano settori fondamentali come l’alimentare producendo e vendendo, nei propri supermercati, olio, pane, carne. Detengono numerose quote nei pacchetti azionari di compagnie energetiche e nell’industria alberghiera. I soldati hanno diritto inoltre a lavorare nel campo delle costruzioni non appena la loro carriera nelle forze armate giunge al termine. La nuova Università del Cairo porta la loro firma, come le principali arterie stradali e la maggior parte degli alberghi sul Mar Rosso. Detto questo, appare molto più chiaro a tutti il perchè, il democraticamente eletto Presidente Mohamed Morsi, sia stato deposto proprio per mano dell'esercito, su pressante richiesta della folla. I militari assecondano le volontà del popolo, sono i veri padroni del paese. Intendiamoci, l'esecutivo Morsi, assieme al partito di governo Giustizia e Libertà (Fratelli Musulmani) ha condotto una politica disastrosa e completamente fallimentare nei 13 mesi in cui è stato al potere: corruzione, inflazione alle stelle, appropriazione di larghissimi poteri nel campo giudiziario, abbandono della laicità di stato in favore di principi prettamente confessionistici. E' stata dunque proprio la svolta autoritaria, a scatenare definitivamente la furia di centinaia di migliaia di giovani liberali e laici, movimento Tamarod, riluttanti nell'osservare inerti la deriva reazionaria in cui stava precipitando l'Egitto. Il 3 Luglio l'esercito destituisce il Presidente, vengono arrestati gli esponenti della Fratellanza Musulmana, Adly Masour diviene nuovo Capo di Stato, vengono sciolte immediatamente le camere e, in questi stessi giorni, dovrebbe essere indicato come premier il premio Nobel per la pace 2005, Muhammad Mustafā al-Barādeʿī. Nel paese, nel frattempo, è guerra civile: da una parte i difensori della rivoluzione (o colpo si stato militare?) dall'altra i sostenitore di Morsi.
La domanda che si pone a questo punto è la seguente: rimuovere un presidente democraticamente eletto lo scorso anno, segnato tuttavia da un fallimento acclarato, da una parabola che volge verso forme dittatoriali ed estremistiche, è un atto legittimo? O il potere costituito e legittimato dal popolo dovrebbe sempre concludere i propri cicli secondo le norme che regolano tali sistemi? Ai lettori l'ardua sentenza.


F.S.   

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