Prima di parlare di Egitto, di Rivoluzioni, di colpi di
Stato, di nuove elezioni non si può prescindere dal fare una panoramica di
quanto l'esercito sia influente e determinate nelle logiche interne del grande
paese arabo. L'esercito egiziano controlla infatti quasi il 30% dell'intera
economia. Le imprese di proprietà dei militari realizzano la maggior parte dei
beni di consumo: dai computer ai televisori, dai frigoriferi alle lavastoviglie. Monopolizzano
settori fondamentali come l’alimentare producendo e vendendo, nei propri
supermercati, olio, pane, carne. Detengono numerose quote nei pacchetti
azionari di compagnie energetiche e
nell’industria alberghiera. I soldati hanno diritto inoltre a lavorare nel
campo delle costruzioni non appena la loro carriera nelle forze armate giunge
al termine. La nuova Università del Cairo porta la loro firma, come le
principali arterie stradali e la maggior parte degli alberghi sul Mar Rosso.
Detto questo, appare molto più chiaro a tutti il perchè, il democraticamente
eletto Presidente Mohamed Morsi, sia stato deposto proprio per mano
dell'esercito, su pressante richiesta della folla. I militari assecondano le
volontà del popolo, sono i veri padroni del paese. Intendiamoci, l'esecutivo
Morsi, assieme al partito di governo Giustizia e Libertà (Fratelli Musulmani)
ha condotto una politica disastrosa e completamente fallimentare nei 13 mesi in
cui è stato al potere: corruzione, inflazione alle stelle, appropriazione di
larghissimi poteri nel campo giudiziario, abbandono della laicità di stato in
favore di principi prettamente confessionistici. E' stata dunque proprio la
svolta autoritaria, a scatenare definitivamente la furia di centinaia di
migliaia di giovani liberali e laici, movimento Tamarod, riluttanti
nell'osservare inerti la deriva reazionaria in cui stava precipitando l'Egitto.
Il 3 Luglio l'esercito destituisce il Presidente, vengono arrestati gli
esponenti della Fratellanza Musulmana, Adly Masour diviene nuovo Capo di Stato,
vengono sciolte immediatamente le camere e, in questi stessi giorni, dovrebbe
essere indicato come premier il premio Nobel per la pace 2005, Muhammad Mustafā
al-Barādeʿī. Nel paese, nel frattempo, è guerra civile: da una parte i
difensori della rivoluzione (o colpo si stato militare?) dall'altra i sostenitore
di Morsi.
La domanda che si pone a questo punto è la seguente:
rimuovere un presidente democraticamente eletto lo scorso anno, segnato
tuttavia da un fallimento acclarato, da una parabola che volge verso forme
dittatoriali ed estremistiche, è un atto legittimo? O il potere costituito e
legittimato dal popolo dovrebbe sempre concludere i propri cicli secondo le
norme che regolano tali sistemi? Ai lettori l'ardua sentenza.
F.S.
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