Il fatto che
la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica non sappia pressoché nulla
delle rivolte di Piazza Taksim è sintomatico di quanto sia difficile cercare di
riassumere quanto sta accadendo in Turchia in queste ultime settimane.
Va premesso
che il tutto ha avuto inizio il 28 maggio con un evento organizzato proprio in
Piazza Taksim a Istanbul contro il progetto di un grande centro commerciale che
sarebbe andato a sostituire gli alberi del Gezi Park. Da questa semplice
manifestazione ha preso il via una rivolta virale che è arrivata a interessare
le più grandi città della Turchia supportata da più di cento movimenti di
protesta che in maniera coordinata e tramite un fortissimo uso di Twitter e
Facebook come piattaforma organizzativa sono arrivati a occupare simbolicamente
la piazza centrale della vecchia Costantinopoli.
Se c’è
qualcosa di ovvio in tutta questa faccenda è che non possiamo attribuire le
motivazioni di una rivolta di simili dimensioni ai 600 alberi del Gezi Park,
tuttavia larga parte della stampa continua a mostrarla come battaglia di fonte
ambientalista o ancora peggio come una “nuova primavera araba”. Le differenze
con le primavere arabe sono notevolissime e nemmeno confrontabili con quelle
dell’argomento che stiamo trattando. Ma quali sono quindi le vere ragioni di
una rivolta di simili dimensioni?
Possiamo
distinguerle in 2 macrocategorie, da un lato vediamo una forte spinta in
opposizione al rigore religioso portato avanti da Erdogan che in qualche modo
ha tentato un difficile bilanciamento tra laicismo e islamismo arrivando a
privilegiare però quella fascia di popolazione legata all’Anatolia centrale più
rurale e tradizionalista. Sintomatico di questo sarebbe la forte attenzione che
il governo sta mettendo nella valutazione dei costumi cittadini nonché la
recente legislazione in materia di consumo di bevande alcoliche. Dall’altro
lato troviamo la forte opposizione al “modus operandi” del primo ministro turco
che viene accusato di non aver preso minimamente in considerazione le richieste
della società civile a seguito della sua fortissima vittoria elettorale alle
ultime elezioni. E’ su questo piano che possiamo considerare il lato
ambientalista della protesta, le grandi opere fortemente volute dal governo di
Ankara hanno suscitato indignazione in tutto il paese a partire dalla spinta di
forte urbanizzazione di Istanbul per arrivare al nuovo canale che sdoppierà il
Bosforo oggetto di fortissime contestazioni anche nei mesi precedenti.
Questi
quindi gli argomenti che hanno portato alla sollevazione che però ha trovato
certamente nuovi spunti nella risposta tutt’altro che ortodossa data dalla
polizia turca e dalle dichiarazioni rilasciate da funzionari pubblici vicini al
governo o da Erdogan stesso. Tutto ciò ha sicuramente contribuito moltissimo
all’aggravarsi della crisi turca in un momento in cui una repubblica
democratica e costituzionale come quella di cui stiamo parlando dovrebbe
trovare dalla piazza e dai social network nuova linfa di rinnovamento
soprattutto in vista delle continue e incessanti richieste di ingresso
nell’Europa dei popoli.
E.D.
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