In tanti sono già in lista d’attesa per la sostituzione dell’artoprotesi a rischio prodotta dalla multinazionale statunitense DePuy del colosso Johnson&Johnson. Un dispositivo ritirato dal mercato due anni fa, in grado di intossicare il sangue con il rilascio di ioni di cromo e cobalto, di provocare gravissime infezioni, di causare dolori dovuti a scollamento e disallineamento delle sue componenti. È allarme. Eppure solo dallo scorso febbraio molti pazienti, portatori di quella protesi, sono stati informati dall’Usl 17 monselicense e dal policlinico di Abano che il dispositivo presentava «problemi tali da richiedere ulteriori valutazioni e potenziali trattamenti aggiuntivi».
Linguaggio diplomatico per invitare i destinatari delle missive a sottoporsi a tutta una serie di controlli (e ad eventuali interventi sostitutivi del congegno) a totale carico dell’azienda produttrice. Azienda che, nel frattempo, aveva bloccato la vendita del prodotto informando il Ministero della Salute dei potenziali effetti dannosi dell’artoprotesi. Era il 24 agosto 2010: da allora sono trascorsi più di due anni. Eppure gran parte dei portatori delle protesi a rischio (in Italia ne sono state impiantate circa 4 mila e 500 in oltre 200 strutture sanitarie) sono stati allertati solo di recente.
R.M., 55 anni, dipendente di un supermercato, aveva già capito da tempo sulla propria pelle che quella protesi, modello Asr marchio DePuy, non andava affatto bene: dal 2008 a oggi è stato sottoposto a quattro interventi perché colpito da una seria infezione.
«Da anni avevo problemi all’anca. Lo specialista mi aveva sottoposto a varie terapie finché, a un certo punto, non è più stato possibile rinviare l’operazione. Così nel luglio 2008 mi viene impiantata una protesi all’anca sinistra. Visto che ero un paziente giovane, si trattava di un dispositivo particolare nel mio caso tanto che l’ospedale di Monselice aveva chiesto alla Regione Veneto la possibilità di acquistare una protesi “fuori capitolato”». L’intervento è tecnicamente riuscito: 12 giorni di ricovero, seguiti da una convalescenza di due mesi e dalla lenta ripresa con le stampelle. «A metà settembre torno in azienda. Ventuno mesi più tardi comincio a star male: nell’aprile 2010 avverto dolori fortissimi alla gamba sinistra, zoppico e ho la febbre che tocca i 40 gradi» rammenta R.M., «Il medico mi prescrive tachipirina e antidolorifici, però continuo a star peggio. Alla fine è lo stesso medico di famiglia a consigliarmi di andare al pronto soccorso. Mi rivolgo all’ospedale Sant’Antonio a Padova e vengo ricoverato il 3 del mese+. Sono sottoposto a Tac, ecografie ed esami del sangue: nella stessa serata i medici mi comunicano che devo essere operato per un ascesso alla protesi. Mi vengono estratti ben 3 decilitri di pus». È l’inizio di un’odissea: «Ero pieno di cannette e dovevo andare quasi tutti i giorni in ospedale per pulire i drenaggi: solo dopo un paio di mesi sono potuto tornare al lavoro. Tuttavia sono stato costretto a seguire una cura antibiotica sotto il controllo dell’infettivologo». Non basta. «Nel novembre 2010 mi rioperano per sostituire la protesi DePuy con un dispositivo “antibioticato” provvisorio... Finalmente nel gennaio 2011 viene rimosso pure il dispositivo provvisorio ed è inserita la protesi definitiva». Lunga assenza dal lavoro e lento recupero: «Ora è tutto a posto, si fa dire: ho rovinato l’anca destra per averla forzata troppo e dovrò inserire una protesi. Non so quando, ho paura». Pesanti i costi sopportati: «Ho fatto lunghe assenze dal lavoro, mi sono giocato la promozione e un periodo di sospensione dallo stipendio, mentre mia moglie fa lavori precari e ho un figlio da mantenere all’università. Chi mi risarcirà dei danni subìti? Ecco perché mi sono rivolto al Tribunale per i diritti del malato di Padova». Tribunale che sta raccogliendo tante segnalazioni: chi è interessato può contattare il comitato dei legali (gli avvocati Manuela Da Ruos, Simonetta Pastorello e Carlo Mursia al recapito 049.8213904 il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 11).
dal Mattino di Padova
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