Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante intervento di Corrado Poli (amico e editorialista del Corriere del Veneto)
L’operazione Veneto City sta gloriosamente andando in porto, con malcelata soddisfazione di numerosi politici “doppio fornisti”. Lo stesso succede per la centrale a carbone di Porto Tolle. Nonostante le reiterate mobilitazioni, la base americana Da Molin già è in costruzione al pari del MOSE. I tafferugli contro la TAV in val di Susa continuano, ma non riusciranno a fermare i cantieri. Se mai riusciranno sarà stato a costo di una profusione di energie esagerata rispetto a risultati che non avranno ricadute politiche e istituzionali. Decine di altri progetti nel Veneto e migliaia in Italia sono temporaneamente bloccati dai comitati ambientalisti in attesa della quasi immancabile realizzazione delle opere contestate. Ma contestate da chi, da quanti, e in base a quale sistema decisionale legittimo?
Non è dato saperlo perché prevale uno sgangherato movimentismo che si guarda bene dall’avere ricadute istituzionali. Con apparente (in)soddisfazione di tutti.
Se questi sono i risultati di decenni di sterili mobilitazioni, sorprende (ma non troppo) che i movimenti ambientalisti non facciano alcuna autocritica. Si lamentano della corruzione, degli abusi del potere, della presunta violazione di norme. Accusano la solita mancanza di “volontà politica” … degli altri, salvo poi dichiararsi estranei alla politica! Dovrebbero invece meditare sulla loro mancanza di strategia politica che si evidenzia nel cocciuto rifiuto di pensare in termini istituzionali crogiolandosi in proteste puntuali. Rispondono che così facendo dimostrano concretezza: gli scarsi (per loro stessa ammissione) risultati dimostrano il valore di questo presunto senso pratico che in realtà è quanto di più astratto e inconsistente esista. Il massimo che ottengono è realizzare piste ciclabili a fianco di industrie inquinanti e autostrade, mentre trascurano ragionamenti articolati, per esempio sulle aree protette, sui processi decisionali, sulla democrazia diretta, ecc. Si perdono nell’interpretazione burocratica delle norme rifiutando una vera cultura giuridica che include il discorso "de jure condendo". Per esempio riprendendo un serio discorso della democrazia diretta deliberativa, che ha tanti limiti quante potenzialità di legittimazione. E consente di raccogliere consenso all'interno di istituzioni.
Il vero problema di questa proliferazione di vuote proteste è l’affossamento delle istituzioni democratiche che non assumono decisioni condivise nel metodo prima ancora che nel contenuto. Chi crede nella democrazia e nelle istituzioni dovrebbe prescindere temporaneamente dal caso singolo e porre con forza la questione dei processi decisionali, della legittimità di chi fa le norme e di chi le fa rispettare. Ai movimenti dei mille comitati senza capo né coda è concesso di ricoprirsi di gloria nel vincere molte goliardiche battaglie (per lo più nelle aule dei tribunali) per poi perdere regolarmente la guerra (nelle assemblee legislative).
Né si parli di non-violenza! Bloccare un cantiere in val di Susa, non è certo la stessa cosa di fare esplodere una bomba, ma rappresenta pur sempre una prevaricazione del processo decisionale legittimo. Manifestazioni e comitati sono legittimi solo in casi eccezionali e come strumenti educativi di sensibilizzazione non al singolo problema, ma alla generale questione delle decisioni.
In questa situazione non è difficile sospettare che alcuni sedicenti ambientalisti, militanti ormai in tutti i partiti, con la sinistra cucinino lo spezzatino dei comitati; con la destra si accordino per un più consistente arrosto fatto di “piccoli inciuci” e di concreta (questa sì) partecipazione agli esecutivi che fanno passare per “grandi intese”.