Gli americani a caccia di petrolio nella Bassa Padovana? L’idea potrebbe addirittura far sorridere. Ma qualcuno la sta prendendo molto sul serio. Tanto è vero che una multinazionale del petrolio ha presentato una richiesta per una indagine geofisica, con eventuale successivo trivellamento, in numerosi paesi della Bassa. In totale sono ben 23 i comuni padovani in cui la AleAnna Resources ha presentato un’istanza di permesso di ricerca di idrocarburi. L’obiettivo è effettuare una procedura di screening. Le richieste sono state due, e riguardano una vasta area dell’Estense e un’altra zona tra il Monselicense e il Conselvano. La prima istanza, denominata «3 Ponti», è stata pubblicata sul Bur il 6 agosto scorso, e interessa i territori di 10 comuni padovani: Agna, Anguillara Veneta, Bagnoli di Sopra, Boara Pisani, Granze, Pozzonovo, Solesino, Stanghella, Tribano, Vescovana. Il secondo permesso è quello denominato «Le Saline» e riguarda 16 municipalità, quelle di Barbona, Casale di Scodosia, Castelbaldo, Granze, Masi, Megliadino San Vitale, Merlara, Piacenza d’Adige, Ponso, Sant’Elena, Santa Margherita d’Adige, Stanghella, Sant’Urbano, Vescovana, Vighizzolo d’Este, Villa Estense. Il sondaggio per la ricerca di idrocarburi proseguirà anche in vari comuni del rodigino e si spingerà fino in Emilia Romagna, a Ferrara e provincia. La prima notizia della «caccia all’oro nero» nella Bassa, arriva proprio con questa «Verifica di assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale», un documento arrivato in tutti i comuni interessati. La ditta proponente è la AleAnna Resources Llc, con sede legale in Delaware (Usa) e sede secondaria a Matera. Una multinazionale che fa parte del Gruppo Assomineraria, in cui siedono anche Eni, Shell, e Bp, e che avrebbe già presentato istanze simili in altre regioni italiane. Ma di che cosa si tratterebbe? Secondo quanto afferma la stessa ditta nella richiesta presentata, «l’area in oggetto presenta tutte le caratteristiche geo-minerarie per poter essere di notevole interesse minerario». E’ per questo che viene proposta «un’indagine geofisica che, attraverso l’interpretazione di dati registrati in superficie, relativi alle differenti proprietà fisiche delle rocce, permetta di ottenere un’immagine del sottosuolo e di verificare l’eventuale presenza di idrocarburi». Insomma un primo sondaggio superficiale, a cui potrebbero seguire le perforazioni vere e proprie. «Se l’interpretazione dei dati confermasse la presenza e l’economicità delle situazioni di interesse minerario - prosegue la descrizione dell’intervento - sarà prevista la perforazione di un sondaggio esplorativo». Per il progetto «Le Saline questo potrebbe arrivare a una profondità di circa 3.500 metri, mentre si parla di 3.000 metri per la ricerca «3 Ponti». Dalla data di pubblicazione, ci sono 45 giorni di tempo per presentare osservazioni alla Regione Veneto, segreteria regionale Infrastrutture e Mobilità. Il tempo ormai stringe e forse, complice magari la pausa estiva, il progetto rischia di passare in sordina.
di Francesca Segato (il mattino di Padova — 28 agosto 2010)
Mentre negli Usa, dopo il disastro della Deepwater Horizon, è cresciuta la preoccupazione per le esplorazioni petrolifere offshore, in Italia questi permessi continuano a essere rilasciati senza alcun ripensamento apparente. Anzi aumentano e sappiamo il perchè: nel nostro paese le royalties da pagare allo Stato per le trivellazioni sono del 4 per cento e non del 30-50 per cento come per altri Paesi.
Oltre ai 76 pozzi già esistenti ci sono altre aree d'Italia a rischio trivelle dove continuano ad arrivare richieste di autorizzazione per esplorazioni petrolifere: le mappe del Ministero dello Sviluppo Economico dimostrano un’esplosione di richieste di trivellazioni esplorative soprattutto al largo di Abruzzo, Marche, Puglia, Calabria (versante ionico) e nel Canale di Sicilia. La superficie complessiva non è nota, ma si può stimare che sia almeno il doppio di quella in cui le ricerche sono già state autorizzate. Perché questa sete di petrolio? Perché in Italia, oltre a royalties molto più basse, non si paga alcuna imposta per i primi 300.000 barili di petrolio all'anno: oltre 800 barili (o 50.000 litri) di petrolio gratis al giorno.
Continuando a puntare sul petrolio, oltre a permettere lo sfruttamento di un territorio già vessato da una cementificazione sempre più aggressiva, si rischia di ipotecare il futuro delle nostre coste e di attività economiche come il turismo di qualità.
Per approfondire:
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