Un autentico cappotto. Un knock out dopo un preciso e potente
jab. Una vittoria schiacciante. Si
potrebbero utilizzare diverse perifrasi, anche di carattere sportivo, per
descrivere l'affermazione del centrosinistra nelle recenti elezioni amministrative
del 24/25 Maggio e del 9/10 Giungo, ma forse non basterebbe ancora. Per rendere
meglio l'idea: 16 capoluoghi di provincia su 16 in palio saranno governati da
giunte progressiste. Da nord a sud, da Lodi e Iglesias, da Imperia a Viterbo,
passando per Ancona, Siena, Pisa, Massa, Brescia, Treviso e sopratutto Roma.
Nessuna grande città esclusa.
Impronosticabili, quanto straordinarie nel risultato, le storiche
affermazioni in due delle roccaforti pluridecennali del centrodestra e della
Lega Nord: Brescia e Treviso. I candidati Emilio Del Bono e Giovanni Manildo
sbaragliano letteralmente gli avversari al ballottaggio di oltre dieci punti.
Vittorie che non hanno significato meramente
sul piano numerico-statistico ma sottolineano in maniera preponderante la
volontà di cambiare radicalmente rotta con un passato ritenuto superato dai
tempi o del tutto inconcludente. La caduta del modello trevigian-leghista
Gentiliniano nella Marca rappresenta più della fine di un governo, è la
chiusura (forse definitiva?) di un'epoca intera della politica veneta. Senza
ombra di dubbio però l'attenzione in quest'ultima tornata elettorale era
focalizzata su Roma, la capitale. Marino vs. Alemanno, PD-SEL vs. PDL-FDI, la
sfida madre. Due candidati a loro modo radicali, due visioni contrapposte del
modo di gestire la res publica, due sensibilità antitetiche sul piano etico.
Non c'è stata storia: 63% per Ignazio Marino, 15 Municipi di Roma su 15. Senza
appello. Nota dolente dell'intera consultazione l'elevatissimo tasso di
astensionismo. La disaffezione per la politica è giunta ormai a livelli
preoccupanti, spetta tuttavia ai neoeletti sindaci far recuperare credibilità
ad una classe dirigente screditata, sfruttando al meglio le istanze di
cambiamento che così forti sono giunte dalla base.
F.S.
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